sabato 19 settembre 2009

L'AVVOCATO DELLE CAUSE PERSE




LA MARINA DI EBOLI

L'estate è finita. O quasi. Le vacanze sono già alle spalle. C'è chi torna da un lungo viaggio. Chi torna dal mare. Chi torna, pur volendo fuggire. E chi torna, pur non essendo mai fuggito. Settembre è un nòstos. Un ritorno. Al lavoro. A scuola. Alla quotidianità di Itaca. Di Eboli.
Chiudono gli ombrelloni. Chiudono le sdraio. Chiudono le cabine e i bagni. E infine chiudono anche quei posti che ci accolgono tutti gli anni all'arrivo al mare, ma che ai nostri occhi passano inosservati.
Intendo la pineta che rimane abbandonata a se stessa, la pista ciclabile dominio di erbacce e sterpi anziché dei ciclisti e le strutture di accoglienza che si confondono con i campi di erbacce.
Il peccato originale della Marina di Eboli è quello di rimanere in uno stato di abbandono perenne, anno dopo anno, senza continuare quella premessa di innovazione iniziata un po' di anni fa con l'abbattimento delle case abusive. Insomma, si fa un passo avanti per poi farne due indietro.
L'auspicio è che nei prossimi anni si cominci realmente a valorizzare la zona costiera incentivando l'insediamento di nuove strutture turistiche ma soprattutto prestando una maggiore attenzione all'ambiente. E' necessario che ci siano controlli severi e costanti. E' necessario che non si torni a speculare con le parole. Si ricominci pure dal principio. Dalla viabilità, alla sicurezza, fino alla pulizia delle acque. E poi si portino i bagnanti sulle nostre spiagge. Nei nostri lidi. Nella nostra città. Il mare è la porta d'ingresso più preziosa che possediamo per accogliere turisti. Bisogna spalancarla, questa porta, e creare un ponte che unisca il centro con il mare. Un insieme di iniziative di diverso ordine: dalle serata in discoteca ad una escursione al centro storico.
Nel frattempo Settembre è già tornato. Forse è il momento giusto per fare uno studio approfondito sulla Marina di Eboli. E chiedersi cosa si puo' fare di più. Anzi, cosa si "deve" fare perchè il mare diventi una risorsa e non un peso.

Giuseppe Avigliano

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